Apprendo da un noto
settimanale, che un'importante gruppo assicurativo, da anni promuove
un concorso per finanziare progetti atti a migliorare le condizioni
di vita di fasce particolarmente deboli della società.
Molte delle iniziative
in concorso, sono rivolte a persone con disabilità (intellettiva e/o
fisica).
Specie per quanto
riguarda la prima, si nota come i progetti puntino a promuovere una
reale integrazione sociale delle persone, spesso in alternativa
all'usuale percorso di vita che prevede la frequenza della scuola,
seguita dall'entrata nel mondo del lavoro.
Questo avviene perché,
la gravità delle patologie da cui queste persone sono colpite,
richiede soluzioni di vita ad hoc.
Infatti, laddove esse
non ci siano, non si realizza nemmeno l'autentica partecipazione
sociale.
Anzi, molto spesso, si
rischia di sottoporre queste persone a stili di vita talmente
difficili da affrontare, che rischiano, addirittura di aggravare le
loro condizioni di salute.
Così, per esempio,
richiedere ad alcune persone, afflitte da patologie mentali, di
svolgere alcuni tipi di mansioni lavorative, significa metterle in
una condizione di profonda frustrazione perché, magari, non possono
concentrarsi sufficientemente.
Perché, allora, non
pensare a soluzioni condivise del tipo: la persona che soffre di
disabilità mentale lavora fino a quando (o fino a dove) la sua
salute glielo permette, il lavoro che rimane da fare poi, può essere
svolto da qualcuno colpito da disabilità fisica e che, quindi, possa
mantenere la concentrazione per un periodo di tempo più lungo.
Nel frattempo, la
persona che lavorava prima, potrebbe essere coinvolta in attività
che la facciano sentire socialmente vive.
A quanti ritengono che
sia più facile raccontare che realizzare concretamente, rispondo che
forse hanno ragione ma, quando il Mondo presenta nuove sfide, è
necessario progettare schemi di gioco mai provati prima.