martedì 6 ottobre 2015

Protezione aziendale

Apprendo da un noto settimanale, che un'importante gruppo assicurativo, da anni promuove un concorso per finanziare progetti atti a migliorare le condizioni di vita di fasce particolarmente deboli della società.
Molte delle iniziative in concorso, sono rivolte a persone con disabilità (intellettiva e/o fisica).
Specie per quanto riguarda la prima, si nota come i progetti puntino a promuovere una reale integrazione sociale delle persone, spesso in alternativa all'usuale percorso di vita che prevede la frequenza della scuola, seguita dall'entrata nel mondo del lavoro.
Questo avviene perché, la gravità delle patologie da cui queste persone sono colpite, richiede soluzioni di vita ad hoc.
Infatti, laddove esse non ci siano, non si realizza nemmeno l'autentica partecipazione sociale.
Anzi, molto spesso, si rischia di sottoporre queste persone a stili di vita talmente difficili da affrontare, che rischiano, addirittura di aggravare le loro condizioni di salute.
Così, per esempio, richiedere ad alcune persone, afflitte da patologie mentali, di svolgere alcuni tipi di mansioni lavorative, significa metterle in una condizione di profonda frustrazione perché, magari, non possono concentrarsi sufficientemente.
Perché, allora, non pensare a soluzioni condivise del tipo: la persona che soffre di disabilità mentale lavora fino a quando (o fino a dove) la sua salute glielo permette, il lavoro che rimane da fare poi, può essere svolto da qualcuno colpito da disabilità fisica e che, quindi, possa mantenere la concentrazione per un periodo di tempo più lungo.
Nel frattempo, la persona che lavorava prima, potrebbe essere coinvolta in attività che la facciano sentire socialmente vive.
A quanti ritengono che sia più facile raccontare che realizzare concretamente, rispondo che forse hanno ragione ma, quando il Mondo presenta nuove sfide, è necessario progettare schemi di gioco mai provati prima.

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