martedì 23 maggio 2017

Dallo Scoglio, 23 maggio 2017

Carissimo Capitano Peter,

questa lettera è dedicata a te, e non ad Ulisse.
Ma ho scelto la stessa forma che uso quando scrivo a lui, perché tu e Sharazad siete le mie nuove amiche. O, per meglio dire, le persone che mi hanno insegnato un nuovo tipo di amicizia. Un'amicizia basata su un grande obiettivo umano: portare un sorriso nel Mondo, in quel mondo prigioniero della malattia. Con voi sto toccando davvero con mano il valore profondo di offrire il proprio tempo a quelle persone che non riescono più a chiedere del tempo per essere ascoltati.

E così arrivo al punto: anch'io, pur non essendo malata, vi ho conosciuto in un momento in cui il mio tempo mi appariva vuoto di entusiasmo: quell'entusiasmo che nasce dall'essere in diretta radio per fare una piacevole chiacchierata tra amiche, dal sentirsi ascoltati.



Già, perché grazie a voi, ho capito l'importanza di offrire un clima di ascolto intorno a chi vuole raccontare.
Ma la vostra forza non è solo questa: la vostra forza sta nella vostra capacità di ascoltare sempre, anche davanti ad un semplice caffè in centro senza per forza avere qualcosa da organizzare.

E c'è di più: sentirsi ascoltati vuol dire poter contare sulla disponibilità di coloro che, quando mi vede piangere, raccoglie le mie lacrime, senza voler essere la clessidra del mio dolore, quell’oggetto che dà il via e lo stop al pianto.
Perché quasi sempre, chi si limita a contare le lacrime altrui, di solito tende a centellinare anche il tempo che è disposto a passare con gli altri, perché si costruisce un’idea tutta sua degli stati d’animo altrui.

Avete mai notato, infatti, che quando siamo immensamente felici spesso, agli occhi degli altri risultiamo monotoni e ripetitivi?
Il classico esempio è la persona follemente innamorata che parla del soggetto del suo amore dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba. Quindi dagli innamorati cronici, si preferisce stare alla larga.
All'opposto, invece, quando la tristezza s’insinua in noi, diventiamo, improvvisamente, insopportabili menagrami che non sanno cogliere il lato positivo della vita.

Cosa fare, allora, per non essere costretti ad ascoltare?
Non c'è niente di meglio se non confinarsi in una stanza, con la televisione ad occupare la quasi totalità del proprio tempo libero; pretendendo di avere intorno il silenzio più assoluto, per non perdere nemmeno una parola di quel film visto e rivisto.

Ebbene sì, giudico negativamente tutto questo. Perché giudicare non è un'azione brutta e cattiva di per sé. Giudicare è un modo per prendere le distanze da ciò che ci ferisce. Avendo il coraggio di farlo anche concretamente. Tornando solo quando ci può essere una condivisione vera tra le persone. Tornando solo quando le persone sono disposte a tenere aperta la propria banca del tempo.

Ora, mio carissimo Capitano, penserai che ho scritto a ruota libera, senza rispondere alla domanda che mi hai posto due giovedì fa, in trasmissione...
La mia risposta è molto semplice e sintetica (finalmente, dirai tu), voglio essere (e non vorrei, perché sarebbe come non voler prendere un impegno serio per migliorarmi), voglio essere ciò che tu e Sharazad mi avete insegnato ad essere e, soprattutto, non ferire con gli stessi comportamenti da cui mi sono sentita ferita.

Grazie per avermi ascoltato!

La tua (e vostra) Amica Ariel

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