Carissimo
Capitano Peter,
questa
lettera è dedicata a te, e non ad Ulisse.
Ma
ho scelto la stessa forma che uso quando scrivo a lui, perché tu e
Sharazad siete le mie nuove amiche. O, per meglio dire, le persone
che mi hanno insegnato un nuovo
tipo
di amicizia.
Un'amicizia basata su un grande obiettivo umano: portare un sorriso
nel Mondo, in quel mondo prigioniero della malattia. Con voi sto
toccando davvero con mano il valore profondo di offrire il proprio
tempo a quelle persone che non riescono più a chiedere del tempo per
essere
ascoltati.
E
così arrivo al punto: anch'io, pur non essendo malata, vi ho
conosciuto in un momento in cui il mio tempo mi appariva vuoto di
entusiasmo: quell'entusiasmo che nasce dall'essere in diretta radio
per fare una piacevole chiacchierata tra amiche, dal sentirsi
ascoltati.
Già,
perché grazie a voi, ho capito l'importanza di offrire un clima di
ascolto intorno a chi vuole raccontare.
Ma
la vostra forza non è solo questa: la vostra
forza sta
nella vostra capacità di ascoltare
sempre,
anche davanti ad un semplice caffè in centro senza per forza avere
qualcosa da organizzare.
E
c'è di più: sentirsi ascoltati vuol dire poter contare sulla
disponibilità di coloro che, quando mi vede piangere, raccoglie le
mie lacrime, senza voler essere la clessidra
del
mio dolore, quell’oggetto che dà il via e lo stop al pianto.
Perché
quasi sempre, chi si limita a contare le lacrime altrui, di solito
tende a centellinare anche il tempo che è disposto a passare con gli
altri, perché si costruisce un’idea tutta sua degli stati d’animo
altrui.
Avete
mai notato, infatti, che quando siamo immensamente felici spesso,
agli occhi degli altri risultiamo monotoni e ripetitivi?
Il
classico esempio è la persona follemente innamorata che parla del
soggetto del suo amore dall’alba al tramonto e dal tramonto
all’alba. Quindi dagli innamorati cronici, si preferisce stare alla
larga.
All'opposto,
invece, quando la tristezza s’insinua in noi, diventiamo,
improvvisamente, insopportabili menagrami che non sanno cogliere il
lato positivo della vita.
Cosa
fare, allora, per non essere costretti ad ascoltare?
Non
c'è niente di meglio se non confinarsi in una stanza, con la
televisione ad occupare la quasi totalità del proprio tempo libero;
pretendendo di avere intorno il silenzio più assoluto, per non
perdere nemmeno una parola di quel film visto e rivisto.
Ebbene
sì, giudico
negativamente tutto
questo. Perché giudicare non è un'azione brutta e cattiva di per
sé. Giudicare è un modo per prendere
le distanze da
ciò che ci ferisce. Avendo il coraggio di farlo anche concretamente.
Tornando solo quando ci può essere una condivisione
vera
tra le persone. Tornando solo quando le persone sono disposte a
tenere aperta la propria banca
del tempo.
Ora,
mio carissimo Capitano, penserai che ho scritto a ruota libera, senza
rispondere alla domanda che mi hai posto due giovedì fa, in
trasmissione...
La
mia risposta è molto semplice e sintetica (finalmente, dirai tu),
voglio essere (e non vorrei,
perché sarebbe come non voler prendere un impegno serio per
migliorarmi), voglio essere ciò che tu e Sharazad mi avete insegnato
ad essere e, soprattutto, non ferire con gli stessi comportamenti da
cui mi sono sentita ferita.
Grazie
per avermi ascoltato!
La
tua (e vostra) Amica Ariel
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